IL RAPPORTO PADRE-FIGL* IN CARCERE RACCONTATO DA CHI LO VIVE

“Quando ho iniziato la scuola, ho visto che tanti miei compagni un papà ce l’avevano e io no”

alcuni estratti dalla rivista Ristretti Orizzonti “CATTIVI PER SEMPRE: PIU’ SBARRE, MENO SPERANZA”

“Adesso racconto un pò la mia storia come figlia di un detenuto: io e mia sorella gemella siamo cresciute con la figura di questo papà lontano, dentro a un carcere. Per noi all’inizio era “normale” non avere un papà in casa, perchè mia madre ci spiegava che mio padre non tornava a casa perchè doveva lavorare. Poi quando abbiamo iniziato la scuola elementare, ho visto che tanti miei compagni di classe un papà ce l’avevano, e ho intuito che qualcosa non andava nella nostra famiglia.

Mia madre ci ha sempre portato a colloquio in carcere, e quando andavamo eravamo consapevoli che non andavamo in un bel posto, vedendo quelle sbarre, vedendo tutti quei poliziotti io avevo capito sin da piccola che se mio padre era lì, se non tornava dal lavoro era perchè aveva fatto qualcosa di sbagliato.

Non ho mai giustificato mio padre, l’ho sempre “condannato” e gli ho sempre detto che è giusto che paghi per quello che ha fatto. Però sono orgogliosa di lui, sono orgogliosa come padre, perchè lui è stato un bravo padre, è riuscito a instaurare un bel rapporto con noi figlie pur non potendoci crescere dentro casa.

Non ricordo mio padre dentro casa e purtroppo per me questa è stata una grandissima sofferenza, anche perchè io e mia sorella fin da piccole siamo state anche discriminate, emarginate perchè eravamo figlie di un detenuto mafioso. All’inizio me ne vergognavo, però poi quando ho visto in mio padre un cambiamento non mi sono più vergognata di lui. “

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