Coltivare l’intimità in un rapporto a distanza tra lettere, visite e video colloqui
di Eva Ruà
La detenzione di mio papà dura da ben 26 anni, io ne ho 28, e da tutto questo tempo io lo attendo. Da quando ne ho ricordo, io sto aspettando che papà torni a casa. Non ho ricordi di lui in casa, non ho ricordi di lui fuori casa, ma ho tanti ricordi di me che lo aspetto. Ogni anno, qualsiasi momento speciale vivessi, la mia speranza era che papà ci sarebbe stato. Quindi dopo ogni promozione scolastica, dentro di me speravo che papà ci sarebbe stato per quella dell’anno dopo, così sono trascorse le elementari, le medie, le superiori, e persino l’università… ma io attendo ancora.
Ho accumulato in soffitta giochi, disegni, piccoli ricordi speciali, tutto al fine di mostrarglieli quando lui sarebbe tornato a casa. Ora ho una soffitta piena di tante cose da mostrargli, di cui nemmeno ricordo più io stessa; potrei gettarle tutte, ma ormai sono il ricordo della mia infanzia, adolescenza e maturità legato all’attesa del rientro di papà. La pazienza dell’attesa, mi è stata impartita da mia mamma e, insieme, l’abbiamo sempre condivisa, era sempre lei che ogni anno con la pagella in mano mi rincuorava dicendomi che l’anno dopo SICURO ci sarebbe stato papà, sperando entrambe che sarebbe stato così. Gli anni sono passati e lo stiamo attendendo ancora, tant’è che questa attesa è diventata parte di noi. Quasi si è personificata, e quasi quasi se tornasse papà, credo che questa ci potrebbe anche mancare.
L’attesa è legata indissolubilmente alla speranza e io ho sperato, spero, e spererò sempre che tutto questo vissuto a distanza terminerà, attendendo così che arrivi il lieto fine di tutto ciò. La distanza non è mai stata un problema con papà, perché è da quando ho iniziato a scrivere, che ci siamo sempre scritti, di tutto, ogni settimana, per due volte, parlo con papà per lettera. Gli ho sempre parlato di tutto, emozioni, sentimenti, speranze, visioni del futuro, chiesto consigli e pareri, esattamente come la maggior parte dei figli credo che facciano con i loro papà. Anni e anni di lettere che tracciano ogni momento della nostra famiglia.
Papà ha avuto regimi carcerari duri, e in 7 anni l’ho vissuto solo per ben 84 ore, quindi le lettere per noi erano il solo modo per viverci. Sicuramente è per questo che con papà ho un ottimo rapporto, perché il parlare o meglio lo scrivere con lui, ha fatto sì che lui mi conoscesse a fondo e io so che lui è l’unico che mi conosce davvero perché in tutte le nostre lettere c’è stato sempre un dialogo aperto.
Da quando è iniziata la pandemia, purtroppo, non è stato più possibile fare colloquio nel penitenziario, ma stiamo facendo i video-colloqui, che sono l’esperienza più familiare e intima che finora abbia ma vissuto con papà. Vederlo, e parlare con lui, a casa, e non nel penitenziario, è stata ed è per me fonte di gioia, è come averlo per un’ora, tramite il mio telefono, a casa.
Attendevo da anni, di potergli dire almeno una volta «Buonanotte papà», grazie al video-colloquio, che capitò ad inizio pandemia di sera, gliel’ho finalmente detto. Sono certa che tutti i figli come me, riescono a comprendere che piccola gioia è stata questa. Dunque l’attesa nel corso degli anni non ha mai smesso di accompagnarci, e l’aspettare un qualcosa di migliore che un giorno arriverà è diventato per noi uno stile di vita. Sono certa che un giorno questa stessa attesa, si tramuterà in una nuova attesa, l’attesa di una vita migliore, fatta di spazi all’aperto, chiacchierate fino a notte tarda, lontano da tutto e da tutti, solo noi, e il resto sarà solo un ricordo lontano.
FONTE: Inserto di Vita Nuova a cura di “Ristretti Orizzonti” – Redazione di Parma